Tale dichiarazione ci lascia perplessi se pensiamo che è dal 2007 che il movimento dei diritti delle persone omosessuali e transgender italiano ha detto, in ogni luogo ed in ogni forma espressiva, che la PARITA’ per la quale lottiamo è quella dell’uguaglianza senza eccezioni e riduzioni.
E’ dal Pride del 2007 fino al Pride Nazionale di Napoli del 2010 che il movimento LBGTQI italiano- ha dichiarato il presidente di i Ken Carlo Cremona ieri durante l’incontro pubblico con il candidato a sindaco di Napoli Luigi De Magistris – afferma e ribadisce che vogliamo essere liberi in Italia di poterci sposare ed avere i diritti riconosciuti come tutte le famiglie e non essere considerati singoli che convivono.
Nelle città italiane dove c’è stata l’istituzione del registro delle unioni civili si è rivelato un vero e proprio fallimento non essendo strumento legislativo ma solo un modo diverso di effettuare un censimento, una sorta di schedatura simile a quella che puntualmente viene effettuata per accedere ai circoli ricreativi di alcune organizzazioni LGBTQI italiane.
Oggi in Italia due persone possono contrarre matrimonio, se lo vogliono, se e solo se la coppia ha come requisito l’ETEROSESSUALITA’.
Se si riconosce una disuguaglianza formale nelle norme che disciplinano le unioni familiari in Italia, prima devono essere rimossi gli ostacoli creando una legge nazionale che estenda il matrimonio e l’adozione anche alle persone dello stesso sesso ed in seguito, o anche parallelamente, vanno create legislazioni nazionali unitarie che disciplinino le convivenze che scelgono ( perché lo vogliono e possono) altri tipi di contratti che fungono da regolamentazione posta sempre a tutela della parte più debole della relazione.
Perché a Napoli questa richiesta, e perché sostenuta dai 34 delle associazioni LGBTQI napoletane ad eccezione di i Ken e perché tale richiesta non è mai stata avanzata dal 2008 ad oggi al Tavolo Comunale di Napoli LGBTQI?
Su questo tema, la città di Napoli ha già superato alcuni limiti, grazie all’Assessorato alle Politiche Sociali che, nella definizione del bando pubblico per i contributi all’affitto alle giovani coppie, non ha inserito il criterio restrittivo della coppia eterosessuale e così ha, di fatto, reso aperta la partecipazione a tutte le famiglie anagrafiche e quindi anche a quelle omosessuali.
Il potere politico ed i partiti, sguazzano nella confusione generata da parte di quella parte di movimento omosessuale che vuole riproporre temi e modalità di attuazione datate 1998 spacciandoli poi come innovatori nel 2011!
Un registro, senza una legge quadro regionale o nazionale, senza una legge regionale sul diritto alla casa, alla sanità senza un quadro normativo fiscale è uno strumento inefficace, per cui resta ed è pura propaganda e che per nulla incide sul benessere delle persone omosessuali e transgender.
E quindi, la domanda a cui non sappiamo dare una risposta rimane sempre la stessa: nel 2011, avere un registro delle unioni civili a chi gioverebbe?
i Ken
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